E io che pensavo che Papeete fosse un un’isola. E invece è una cittadina francese, 26mila abitanti, capoluogo della Polinesia Francese. Chissà se lo sapeva Matteo S. Per fortuna che Erodoto108 ha saputo che Francesco era a Papeete e gli ha chiesto: dai, raccontaci dell’oceano. Macché: ci dice degli autobus, della musica di sfondo e di banchetti gestiti da tipi poco raccomandabili. Mi sembrano eccellenti ragioni per andare a Papeete. (as)
Testo di Francesco Re Cerclin
Negli autobus di Papeete si chiama la fermata a voce, nessuno usa il tasto “stop”. A bordo c’è musica locale (una specie di reggaeton) in filodiffusione e, se manca, ci pensa qualche ragazzino delle ultime file col suo cellulare o con cassa bluetooth. Se non ti piace la musica o ti dà fastidio: affari tuoi.
Le canzoni sono molto simili tra loro. In lingua polinesiana o in francese d’oltremare, meno contaminato del francese del continente. Con la erre meno moscia e le sillabe più scandite. Nei negozi, totalmente occidentalizzati oppure di marchi che già conosciamo e perfino al McDonalds, la musica è la stessa. Ritmo sincopato, suoni digitali e voce con l’autotune. Il fatto è che l’ascoltano tutti, a tutte le età. Magari il giovane si butta su atmosfere più cupe e vagamente gangster, ma anche la paciosa signora di mezza età con fiore bianco all’orecchio dà prova di sapere i testi a memoria.
In pieno centro c’è un incrocio di tre strade con tre banchetti dove vendono gli ukulele. A quattro o otto corde. Fatti artigianalmente a Tahiti. I venditori non sono personaggi proprio raccomandabili, ma stanno là tutto il giorno nello smog a proporre la loro merce ai turisti e prendono circa il 15% ad ogni vendita. Alcuni gentili altri meno, mi invitano a provare i modelli in esposizione. Vincent suona con me; mi dice che muovo la mano destra come uno dei Gipsy King. Ha origini italiane, ma in Italia non c’è mai stato. “Qui ho tutto e poi in Sicilia c’è la mafia che ti spara”.