Testo e foto di Marco Turini
Ci voleva una pandemia per riconsiderare le nostre esistenze, i nostri rapporti sociali, la nostra attività lavorativa. Persino correre e camminare, l’attività più naturale dell’uomo, almeno dai tempi dell’Australopiteco, è stata stigmatizzata dalle necessità contingenti. Nuovi valori vengono proclamati sulle pagine social a cominciare dalla solidarietà (molto virtuale a dire il vero) o la fiducia nella ricerca e nel lavoro del corpo sanitario. Allo stesso tempo si incoraggiano nuove sane abitudini come la lettura di libri, la meditazione ed il fitness in casa. Tuttavia la colonna sonora della nostra reclusa esistenza sembra essersi inceppata come un disco rotto sulle note del #iorestoacasa. Un vero mantra che non sembra mai allietare l’animo ma si salmodia più come uno scacciapensieri. Per alcuni suona più come un grido di rabbia, verso chi a casa non ci può o non ci vuole stare. Così i nuovi poliziotti da balcone insultano in rete chiunque non sembri avere un valido motivo per uscire. Senza capire che potrebbero essere loro il prossimo bersaglio degli insulti altrui appena si proveranno a portare fuori la spazzatura o il cane. Bisogna però provare a comprendere questi atteggiamenti. Molti di noi sono preoccupati, altri impauriti e spaesati, bombardati come siamo dalle migliaia di post che si susseguono senza sosta sui nostri smartphone. Dopo il meme sul covid, il flashmob sul covid, le dirette facebook sul covid, i concerti, le ricette, la ginnastica, il teatro, il museo ai tempi del covid ormai non fa più neanche tanto notizia sapere che la natura si sta lentamente riappropriando dei suoi spazi ripulendosi da tutto il letame umano e chimico che gli abbiamo vomitato per anni. Neanche l’assurdo susseguirsi di autocertificazioni e nuove disposizioni che impone dl governo può riuscire nascondere una situazione ben più drammatica: il dopo covid.
Mentre moltissime aziende hanno dovuto chiudere per via delle restrizioni una moltitudine di nuovi poveri ha perso il lavoro o è impossibilitata a svolgerlo. Questo crea e creerà un danno incalcolabile non solo al nostro PIL ma anche al nostro futuro stile di vita. Si perché la nostra vita non sarà più la stessa (ma questo già lo sapete). Molti sono preoccupati di non riuscire più a viaggiare nel prossimo futuro. Tantissimi non potranno semplicemente più permetterselo. Centinaia di migliaia di disoccupati non avranno neanche l’ammortizzatore sociale familiare su cui contare perché alcuni dei nostri cari che provvedevano con le loro pensioni a sostenere le nuove generazioni magari se sono andati per sempre senza salutare. Non sappiamo quali misure prenderà l’Europa ed il nostro governo per riportare indietro l’asticella della normalità finanziaria ma è probabile che tutti dovranno fare grossi sacrifici per ricominciare oppure dovranno reinventarsi. Mentre continuiamo a scrivere sulle nostre bacheche come dei monaci zeloti #iorestoacasa tonnellate di frutta e verdura giacciono marcite nei campi perché non ci sono lavoratori, innanzitutto immigrati, che possano occuparsene. Se non ricominciamo presto a lavorare non ci sarà un dopo covid, ci saranno solo macerie.
E allora che cosa possiamo fare nel frattempo? Immortalarci con un nuovo e creativo selfie da quarantena? Ingannare il tempo con l’ennesima videochiamata? In realtà possiamo solo sperare che la macchina dello sviluppo si rimetta in moto con le dovute precauzioni, lasciando magari a casa o tutelando gli immunodepressi e le persone anziane (per ora le categorie più colpite) facendo più tamponi ed isolando i casi positivi.
E dopo? Dopo dovremo fare i conti con noi stessi e la nostra presunzione di poter assoggettare il mondo a nostro uso e consumo, viaggeremo meno e viaggeremo meglio. Con più lentezza e consapevolezza. Ci godremo le passeggiate nella natura ed apprezzeremo il semplice gesto del camminare (così scontato fino a pochi mesi fa), e daremo più valore ai rapporti interpersonali innanzitutto nella vita reale non sulla chat di Whatsapp. Accetteremo di fare lavori che non avremmo mai pensato di svolgere prima come per esempio quello nei campi o magari nei supermercati. Più che un nuovo inizio sarà un bagno di umiltà. E daremo più valore al tempo, lo assaporeremo in ogni istante. Mangeremo ed acquisteremo di più prodotti locali e rilanceremo le aziende nel territorio in cui viviamo contribuendo con le nostre tasse alla ripresa del Paese e sostenere le nostre famiglie con un welfare forte ed una sanità migliore. Saremo più umili perché abbiamo pensato di sconfiggere la natura solamente con la scienza e la burocrazia. E daremo meno spazio al nostro Io e penseremo più al Noi e alla società che ci circonda. Una società senza inutili confini che sarà sempre più interconnessa a livello globale ma più distante fisicamente. Saremo i figli di nuova comunità internazionale, almeno nel principio, ma nazionale (e non nazionalista) nella gestione sostenibile delle proprie risorse. Non compreremo più banane dalla Costa Rica ma coltiveremo insieme la nostra uva ed il nostro grano festeggiando come un tempo i giorni del raccolto. Ripercorreremo le orme dei nostri nonni e dei nostri padri che in questo momento dobbiamo proteggere come hanno fatto loro prima di noi. Impareremo dai nostri errori, con umiltà e determinazione e ripeteremo la lezione, almeno fino alla prossima epidemia.