Shooting in Sarajevo è anzitutto un progetto a quattro mani che, strada facendo, si è arricchito del contributo di persone speciali. É un progetto sviluppato in cinque anni, iniziato nel 2015, ma che, in realtà è frutto di vent’anni di attraversamenti Balcanici da parte di Roberta Biagiarelli, autrice ed attrice teatrale che ha fatto proprio dei Balcani il suo terreno di espressione, il suo luogo di adozione, il suo Teatro.
Conosciuta per il monologo sul Genocidio di Srebrenica, la Biagiarelli ha vissuto a Sarajevo ed ha respirato lo spirito di quel luogo. Proprio Roberta Biagiarelli, insieme a Luigi Ottani, fotografo, ha avuto l’idea di raccontare Sarajevo con la modalità emotiva ed immersiva rappresentata dalla fotografia quando il punto di vista è privilegiato. Ottani ha puntato il suo obbiettivo, ha inquadrato con il mirino della sua fotocamera dai luoghi precisi dai quali i cecchini tennero sotto assedio la città. Raccontare per immagini e parole il ‘lavoro del cecchino’ per attraversare con il suo sguardo la storia e le geografie umane di uno spazio urbano unico.
Così i piani alti degli appartamenti e grattacieli del quartiere Grbavica, l’Holiday Inn, le postazioni sulle montagne che incoronano la città, sono diventate per gli autori, il punto di vista ideale per perdersi nella mente di chi, da quegli stessi luoghi, inquadrava per uccidere.
Sarajevo è una città simbolo, una città sensibile che parla, luogo dove si è consumato uno tra i più lunghi e recenti assedi della nostra storia contemporanea, durato 1425 giorni e con 11.541 cittadini e cittadine uccisi tra il 1992 e il 1996.
Conosciamo poco di quei territori geografici che stanno al di là del nostro mare Adriatico, (mare Superum come lo chiamavano i Latini) i Balcani così vicini ma anche così lontani. La loro storia complessa e la dissoluzione della Jugoslavia, un paese che non c’è più, hanno lasciato molta confusione sul campo e ancora oggi si fatica ad orientarsi.
Eppure nonostante l’efferatezza di ciò che vi si è consumato e le macerie che la guerra ha lasciato dietro di sé, Sarajevo resta la cosmopolita: una città che contiene in sé tante altre città: romana, ottomana, austroungarica, ma anche ortodossa, cattolica, musulmana ed ebraica.
Il suo spirito di città aperta a tutti e la sua vocazione alla convivenza pacifica tra genti di culture e religioni diverse (komsiluk) sono sopravvissuti anche alla durissima prova del conflitto. La sua ricchezza artistica, il fervore culturale e la sua posizione strategica nel cuore dei nuovi Balcani la confermano per la sua unicità come la Gerusalemme d’Europa.
Nel libro Shooting in Sarajevo, sapientemente cucito da Bottega Errante Edizioni, le immagini esprimono tutta la loro emozione attraverso il format della Polaroid, un po’ per accentuare l’effetto “cornice” di un cannocchiale, un po’ per riportare ad un periodo storico relativamente recente, ma soprattutto per riflettere sullo scatto non replicabile di una Polaroid, tristemente assimilabile all’effetto one shot di uno sparo. Gli scatti fotografici sono stati arricchiti dall’autore, andando ad inserire in postproduzione un mirino centrale. La posizione del soggetto rispetto al mirino introduce tutta una serie di considerazioni psicologiche dal punto di vista del cecchino e relative alla posizione del soggetto nello spazio urbano.
Le immagini dialogano e si arricchiscono dei testi scritti appositamente per questo progetto da due sarajevesi d’eccezione Azra Nuhefendic’ e Jovan Divjak, oltre che dal giornalista scrittore Gigi Riva (cittadino onorario di Sarajevo), dallo storico Carlo Saletti e dal fotoreporter Mario Boccia.
Il libro provoca al lettore un’ esperienza immersiva quasi avesse la possibilità di osservare la città attraverso cannocchiali panoramici posizionati nei luoghi simbolo.
Il percorso fotografico rappresentato dalle polaroid viene interrotto talvolta da immagini in bianconero a doppia pagina in formato landscape che offrono al lettore una visione più completa della città e dei quartieri urbani che la caratterizzano. Particolarmente suggestiva la panoramica dal cimitero ebraico, scattata dall’interno del cimitero stesso. Luogo nevralgico durante tutto l’assedio. Un contributo importante alla pubblicazione è stata la ricerca di tutti i luoghi nei quali erano posizionati i cecchini e dei punti di attraversamento più pericolosi. Una doppia pagina ne riporta la mappatura precisa creata da Azra Nuhefendic’ e da Roberta Biagiarelli.
La pubblicazione consente così di collocare gli eventi storici all’interno di una chiara cornice geografica.
Sarajevo esprime un paesaggio che contiene in sé differenti volti del mondo, in quel luogo cento anni dopo la sua fondazione (1440), la Città ha raccolto uomini e donne di tutte le religioni monoteistiche e delle culture da queste derivate, innumerevoli lingue e diverse forme di vita. E’ diventata un microcosmo, centro del mondo che, come ogni centro, contiene il tutto.
Per questo Sarajevo è una città interiore che costringe a ‘guardarsi dentro’: i Balcani geograficamente fanno parte dell’Europa, ma politicamente alcuni Paesi della ex-Jugoslavia ne sono ancora esclusi. I Balcani d’Europa sono lo specchio di noi e molto ci raccontano del nostro complesso e spaesato presente.
Il progetto editoriale è un gesto di affetto per Sarajevo, per i suoi abitanti e per quei tormentati territori, ma per estensione è anche una metafora per tutti coloro che oggi si trovano ad abitare in aree di conflitto.