Cartolina da Trieste di Carla Reschia
(foto da Wikimedia Commons)
Tra Natale e l’Epifania, il confine è sparito. Ora un viaggio Trieste-Rijeka, nelle condizioni più favorevoli, è un percorso liscio e senza ostacoli (salvo un casello autostradale) e lungo il percorso i baracchini del Cambio/Change/Wechselstube che vantano i migliori rapporti euro/kuna hanno già un’aria decrepita e polverosa. Così come la dogana, che mantiene accesi nelle corsie inutili segnali rossi e verdi, ma non è più presidiata da addetti a volte sorridenti, a volte scontrosi, a volte fiscali e a volte incuranti (i miei preferiti: un breve gesto della mano, come a scacciare una mosca al tentativo di mostrargli i documenti).
Addio alla kuna, la moneta che portava impressa la faina da cui prendeva nome e via ai lamenti sui rincari dei prezzi che in Italia risalgono ormai al voltare del secolo.
Per chi, a vario titolo, ha attraversato spesso “l’ultima (per ora) frontiera europea” è una piccola rivoluzione che fa istantaneamente tornare alla memoria epiche file estive sotto il sole d’agosto, timidi tentativi di fuga ai confini secondari al tempo del covid e, naturalmente, per chi c’era, il saldo, inossidabile, severo confine della Jugoslavia, che tuttavia correva più su all’ingresso dell’ormai da tempo accessibile Slovenia.
Sia come sia, un confine in meno è sempre una buona notizia.