Testo e foto di Vito Finocchiaro
É l’alba. Tra il rumore delle onde e l’odore della salsedine la luce rossa del sole scivola lentamente su Ganzirri e Torre Faro. Sono sulla punta Nord orientale del Comune di Messina, dove si incontrano due mari, lo Jonio e il Tirreno. Un luogo ricco di fascino e suggestione, popolato da figure mitologiche raccontate da Omero eVirgilio.
Aspetto di salire a bordo.
É il preludio di una scena millenaria che, fin dai tempi dei Fenici, anima le acque dello Stretto. Una tradizione che si tramanda di generazione in generazione e divenuta, ormai, un tutt’uno con quelle Leggende che hanno fatto della Sicilia la Terra del Mito.
Da primavera fino a settembre tutte le mattine l’equipaggio si incontra sulla spiaggia di Ganzirri. I pescatori salgono a bordo di un barchino a remi che, scivolando lentamente sull’acqua, li trasporta alla feluca.
Ascolto in silenzio e osservo ogni loro gesto, ogni minima espressione impressa su quei visi segnati dal sole e dal sale. Il silenzio dell’alba viene interrotto da qualche frase, pronunciata semplicemente per alleggerire la tensione che accompagnerà questi uomini per l’intera giornata
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Un mestiere fatto di regole mai scritte e da sempre osservate. Un’antica tecnica di caccia, sofisticata e complessa, basata sull’avvistamento e sulla minuziosa conoscenza del comportamento del pesce spada
La Feluca, poco più lunga di 15 metri, è stata sistemata secondo le antiche tecniche delle costruzioni in legno. La barca ha una lunga passerella a prora, da dove il fiocinatore cattura la preda, e un’antenna centrale sulla cui cima, mi spiegano, c’è il centro del comando.
L’Antenna è il posto dove si trovano il timone, le marce e i pescatori addetti alle manovre e all’avvistamento.
Un groviglio spettacolare di cavi d’acciaio, lungo quasi un chilometro e mezzo, sostiene le due strutture in ferro di 25 e 28 metri.
Saliti a bordo della Santa Rita, ognuno sa quali sono le proprie mansioni prima della caccia. Gesti che sembrano rituali, uniti alla semplicità del quotidiano. Qualcuno, infatti, prepara un caffè alla maniera dei pescatori.
Un rapido segno della croce da inizio alla giornata. Con scatti agili e sicuri, gli uomini si arrampicano sull’antenna.
l capo barca, dalla coffa, insieme alle altre vedette scruta il mare circostante. Alcuni spruzzi attirano la loro attenzione. In lontananza, la sagoma di un esemplare di pesce spada.
É quando sale in superficie, spinto dalla curiosità o per giocare con la sua compagna, che il Re degli Abissi diventa vulnerabile.
“U vitti! U vitti”. Un grido allerta il fiocinatore di vedetta sulla passerella e l’equipaggio in coperta. E poi via! I motori a tutta forza verso la preda!
“A desra! A desra! Curri rittu!. Un inseguimento velocissimo.
Le grida di comando si mescolano al rumore della prua che taglia i flutti. La feluca vira bruscamente e sembra che la vedetta possa cadere da un minuto all’altro. Il fiocinatore ha pochissimo tempo per agire prima di scagliare la micidiale arma. Senza esitare e con un solo colpo ficca l’arpione sul dorso del pesce.
“U pigghiai! U pigghiai!…una scia di sangue tinge le acque dello Stretto
L’animale cerca di inabissarsi, poi salta; si immerge nuovamente: salta ancora e poi ancora. Si dimena disperatamente cercando di liberarsi. I pescatori non lo perdono di vista e mollano diverse decine di metri di cima. Dopo molti sforzi gli uomini hanno la meglio. L’animale, ormai stanco, viene issato sulla barca.
Sembra un guerriero ferito. La sua forza si moltiplica e a bordo della feluca continua a lottare spargendo il suo sangue ovunque. Viene coperto con un telo nero. É la fine…
Nello Stretto di Messina lo chiamano il pesce cavaliere per il coraggio e la fierezza dimostrati nella lotta prima di cadere abbattuto sotto il ferro del suo avversario. É per questo che fin dai tempi remoti, si parla di caccia e non di pesca.
Il misterioso rito della “cardata da cruci” è l’atto finale della battuta di caccia. La tradizione vuole che uno dei pescatori, tranne il lanzaturi, cioè di colui che ha lanciato l’arpione, segni, con le unghie della mano, quattro croci vicino all’orecchio sinistro del pesce appena issato sulla barca.
Codici e regole marinare da sempre rispettati. Tra queste c’è anche quella della spartizione delle acque in cui cacciare.
Ogni feluca ha una porzione di mare in cui idealmente è stato ripartito lo Stretto. Si alternano in modo tale che ognuno sappia bene fino a dove può spingersi per cacciare. Se una preda viene avvistata e nell’inseguimento sconfina si continua a cacciare ma se il pesce viene catturato deve essere diviso con l’altra feluca a cui era stata assegnata quella porzione di mare.
Strategia, intuizione, tanto lavoro e sacrificio. Una pesca spettacolo, un eterno duello tra “lanzaturi” e pesce spadaccino, alla quale nessun viaggiatore o personaggio illustre, passato da Messina, ha saputo rinunciare.