Si distende in tutta la sua lunghezza in cima a una scala e consente al nipotino di baciarle le vesti. Allo stesso modo tanti altri genitori aspettano il loro turno per esporre i propri bambini. Il corteo attraversa la vecchia via Lamia, una delle parti più antiche e popolari della città. All’interno dei cortili vengono allestiti i toselli votivi, delle cappelle adornate con drappi in onore al culto. I devoti depongono i frutti della terra ai piedi dell’effigie. Se non è il Sud e Magia di Ernesto De Martino, ci manca davvero poco.
La scena a cui assisto avviene nel quartiere di “Cas Camptiell” al centro di una strada gremita, costeggiata da immensi palazzoni che tolgono il sole ad ogni ora. Al passaggio della Madonna partono potenti batterie di fuoco, in mezzo alle coperte “buone” del corredo stese ai balconi, una suggestiva pioggia di coriandoli ricavati dagli involucri delle uova di pasqua.
Questa scena si ripete ogni anno esattamente una settimana dopo la Pasqua, nelle viscere di Pagani, città crocevia stretta tra i monti Lattari e la conurbazione che unisce i paesi del salernitano a quelli delle province di Napoli e Caserta. Si ripete perché la Madonna del Carmelo lo merita, cinquecento anni fa in via Striani guarì uno storpio, si dice che la sua tavola lignea fosse stata ritrovata proprio dalle amate galline: da allora il nome, la chiesa, la celebrazione.
Il primo venerdì dopo pasqua si schiudono le porte della chiesa, l’euforia apre le danze. Il cerchio si chiuderà solo il lunedì, quando musicisti e devoti si ritroveranno all’alba per la consegna delle tammorre alla Madonna.
L’attenzione è tale che il giorno della processione non si mangia finché non si saluta la Madonna, e se in alcuni quartieri il corteo arriva in orario, in altri si aspetta fino a sera.
La Madonna delle galline in passato era, tra gli altri, la voce di Franco Tiano, detto l’africano. Gli ultimi tempi con la faccia scavata per via della malattia, girava col consueto fervore, occupato dai preparativi nella sua corte Califano.
Franco e il sodalizio col maestro Roberto De Simone, l’amicizia di Eugenio Bennato e Peppe Barra, la recitazione al fianco di Ben Gazzarra nel film Il camorrista, diretto da Giuseppe Tornatore.
Tiano con la sua personalità incarnava la doppia anima della festa: la tensione sacrale e il risvolto profano. Dopo la processione, la domenica sera le incessanti danze e i canti notturni nelle corti storiche della città. Al ritmo incalzante delle tammuriate ondeggiava un popolo estremamente variegato che mescolava persone comuni, devoti, travestiti, femminielli. Una festa popolare inclusiva, senza età e priva di etichette.
Non capita spesso che un evento abbia così tanti connotati: le corti, i toselli, le musiche, gli odori. Le strade in ogni dove inondate dal profumo dei carciofi arrostiti. Il ritmo ossessivo della tammorra che disvela, scioglie, libera gli istinti e innesca il continuo corteggiamento mimato dall’ondeggiare dei ballerini. Una danza dalla matrice voluttuosa, sensuale, fatta di sguardi intensi e rivelazione, accelerata dalla girata ritmica, la “votata”, che accentua i movimenti del ballo per poi ricominciare.
Una festa in origine intrisa di rabbia e piacere, capace di condensare le frustrazioni e i desideri dell’universo contadino partenopeo e di renderla una folle quanto utile espiazione. Rito necessario che capovolge e sovverte, avendo in seno memoria della dura quotidianità dell’indomani.
La Madonna delle galline oggi serba a denti stretti parte del suo fascino, tuttavia risente della inattesa celebrità degli ultimi anni, paga le intrusioni rumorose, i numerosi pullman e l’eccessiva esuberanza di giovani che non hanno la pazienza di ascoltare, non possiedono gli strumenti per comprendere, abituati a una movida vuota e apatica.
Il Comune, dal suo canto, ha fatto propria una manifestazione che in origine coinvolgeva poche strade del centro città. Negli anni è stato affiancato un festival del ritmo, e allungato così il periodo a cinque giorni di festeggiamenti, incluse bancarelle, giostre, e avventori che poco hanno a che vedere col contesto originario. Nondimeno rimane pur sempre uno degli avvenimenti più sentiti e caratteristici dell’Europa meridionale.
Città di santi, artisti e mercanti, dice una targa un po’ velleitaria all’ingresso del centro. Un tamburello gigante da qualche anno occupa l’aiuola di un quadrivio con lo scopo di sposare la città all’evento.
Pagani e tutte le sue contraddizioni. I cortili che brulicano di bambini. Un sud in cui affondano immense eccellenze e in superficie, più visibili, permangono i nodi, le incrinature. Poi le sue compagnie teatrali e i tanti professionisti sparsi per il mondo. I cittadini e la capacità di farsi popolo alla prima occasione: a capodanno come in onore del patrono Sant’Alfonso Maria de’Liguori, nel tifo viscerale e irrazionale. Un luogo dove la borghesia risulta ancora sconfitta a vantaggio dell’anima popolare, anarchica e sanfedista per scetticismo e rassegnazione. Città disincantata, fatalista, che paga lo scotto della sua essenza: l’emigrazione, la disoccupazione, a volte pure la vergogna di un Comune sciolto e commissariato, con un bilancio dissestato, e la lunga tradizione delle occasioni sprecate.
Testo e foto di Sandro Abruzzese, Racconti viandanti