C’è chi sogna di lasciare il proprio lavoro, abbandonare per un anno la routine quotidiana e con una buona dose di coraggio intraprendere un viaggio on the road attraverso mezzo mondo. C’è chi è rimasto così affascinato dalla via della seta e dal Tibet da volerli raggiungere in bici attraversando paesi come Italia, Grecia, Turchia, Iran e l’Uzbekistan. C’è chi dalle nebbie di Modena alle nuvole dell’Annapurna quel viaggio l’ha fatto davvero e l’ha riportato giorno per giorno per mezzo di un blog (dallanebbiallenuvole.net appunto). Bernardo e Marcella appena tornati da un anno di fatiche e di esperienze, di sudore e di emozioni quel viaggio ce lo anticipano attraverso questo aneddoto. Dalle Nebbie alla Nuvole, ieri solo un blog, oggi anche un bellissimo libro.*
Tashi dele…
Difficile descrivere tutti questi giorni di viaggio tra i monti.
Forse le immagini potranno, ma direi neanche quelle. Forse le sensazioni o gli occhi, potessero parlare (ma poi, cosa mai direbbero o aggiungerebbero più della lingua!). Un crogiolo di emozioni, colori e luci.
Tanta gente, facce inaudite, da altro mondo. A volte troppa stanchezza e nervosismo. Sicuramente tanti passi, tante tende, monaci e yak. “E’ Tibet o non e’ Tibet?”…. “E’ Tibet senza esserlo formalmente!” diremmo noi in coro. Un monaco in un inglese traballante ci ha accolto : ‘Welcome to Tibet!’. Siamo tra le nuvole, dopo 12.500, dannati, chilometri di pedivellare feroce.
Venti giorni di bici e di tenda nel Wild West tibetano.
Tashi Dele in tibetano significa: Ciao!
Xining – Xiwu (Qingai-Tibet HighWay), km 800
Caldo, sole ed una strada troppo brutta e trafficata per essere vera.
Sbuffiamo: “Mah! se e’ tutta cosi’ la strada sarà un incubo”
Addirittura peggiora, ci infiliamo in un’autostrada da paranoia.
Invece i monti si allargano e la strada si restringe, il traffico evapora e noialtri si gode di visioni meravigliose. Un altopiano verde all’inverosimile. Grasslands! Tende marroni fumanti fatte di pelle di yak, nomadi ovunque, yak e pecore. Enormi passi di montagna infiammano i nostri polmoni affaticati. Fiatone da alta quota. Si viaggia ben presto sul filo dei 4.000 metri slm.
Un passo ci infradicia da capo a piedi; la discesa su un magnifico lago ci regala gioia negli occhi. Le poche macchine che passano strombazzano via i tuoi timpani. Tibetani scorrazzano feroci con le loro motorette addobbate come fossero cavalli e le loro immancabili scatolette musicanti. Marcella si stropiccia gli occhi: “Pero’ sono bellocci questi tibetani” Anche Bernardo e’ più affascinato che geloso dai questi ragazzoni alti, pelle scurissima e capelloni lunghi e sciolti al vento. Le donne, anche loro coloratissime, vestono cappellini stile ottocento e sono piene di monili e collane.
Alcuni di loro appaiono come veri e propri cow-boy!
Campeggiamo sempre per evitare che la polizia ci dia delle grane (sembra non apprezzino troppi contatti tra locali e stranieri!)
La mattina il tempo e’ sempre bello; sole scintillante e rilucente. Dopo pranzo, immancabilmente, salgono su nuvoloni scuri ed incombenti che si sfogano in temporali. La strada e’ dotata di un buon asfalto e rimane sempre ad alta quota: un su e giù micidiale di passi inaspettati. Un passo al giorno e’ la regola.
Durante una nottata di luna piena subiamo un maldestro tentativo di furto delle bici. Marcella ha le orecchie fini. Un lucchetto e’ lievemente danneggiato, ma le bici salve ed il ladruncolo sgattaiolato chissà dove.
La tenda regge bene umidità (tanta alla notte) e pioggia. Solo le zip interne iniziano a sentire il peso dei numerosi accampamenti. A volte bisogna lavorarci di fino e con pazienza, per chiuderle.
Lungo la via, circa ogni 60 km si incontrano dei paesini dove rifornirsi di cibo e acqua. Sono momenti difficili e nervosi. I tibetani ti circondano ed iniziano a toccare le bici, le borse, te stesso. Ti stanno tremendamente vicini. A volte sono insopportabili. Non e’ sempre facile mantenere la calma, soprattutto quando cerchi del riso e non lo trovi e sia i tibetani che i cinesi non ti capiscono. E senza riso non si sa davvero cosa mangiare!!!
Il contatto con i monaci e’ abbastanza sorprendente: si lavano nei fiumi, sono tantissimi, vestiti con abiti dai colori geniali, cremisi e arancione. Molti di loro sono bambini.
A Xiwu giriamo a sinistra per il Sichuan, su per un passo a 4700 metri, ci accolgono caldo e mosconi assatanati.
Xiwu – Ganzi (Sichuan), km 380
Il Sichuan ci accoglie con pioggia e vento. All’inizio la strada non e’ davvero entusiasmante, poi migliora, come il tempo, fino a diventare spettacolare. Qui le montagne sono più aguzze e rocciose.
I cani sono feroci e non ti danno tregua, subiamo fino a 5 o 6 attacchi al giorno. Gli respingiamo a suon di bastonate, urlacci e sassate. L’ultimo di questi attacchi e’ particolarmente feroce, temiamo di essere azzannati, poi il cane se la prende con il nostro materassino per dormire (fortunatamente azzanna solo la plastica esteriore) E’ ostinato, ma le nostre urla lo dissuadono. Alla fine se la svigna a mordere qualche malcapitato yak. Che paura!
Il fondo stradale peggiora a mano a mano, diventando spesso sterrato, a volte a buche e sassi. Si traballa sulle bici. I chilometri si allungano inesorabilmente. Serxu e’ un monastero enorme che compare dopo l’acquazzone. Pozzanghere, cani e piccoli e bui negozi. Visione da Medioevo.
Alcuni bambini ci lanciano sassi sulla tenda. Usciamo li spaventiamo e sequestriamo le loro cartelle lasciate a terra nella fuga. Saranno alcuni monaci a venirle a prenderle visibilmente dispiaciuti dell’accaduto.
Le tende dei nomadi si riducono in favore di case sempre più belle e colorate. Legno ed argilla i materiali utilizzati. I tetti sono piatti e ricoperti di terra. Con il nostro progredire verso est anche le stesse case cambiano di aspetto, molte ora sono costruite in pietra e recintate da mura; altre sono ancora in argilla, a strisce di colori differenti, a due piani. Delle vere e proprie fortezze, con annesse torrette.
Deviamo per alcuni chilometri, ci inerpichiamo alle costole di un ghiacciaio, per visitare il Dzogchen Gompa (monastero) dai tetti dorati e dall’interno pieno di Buddha e demoni effigiati sui muri. Innumerevoli monasteri accompagnano il nostro cammino.
Le macchine ci impolverano per bene e ci spaccano i timpani con clacsonate feroci.
Una sorprendente pedalata tra monaci, che benedicono le nostre ruote e la vista di uno stupendo monastero.
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Vociare di monaci ovunque, a coppie, uno di loro resta seduto, mentre l’altra effettua misteriosi movimenti e schiocchi di mano e piedi, come solo il Kappa ne sarebbe capace!
Fatica, sudore e stanchezza. Arriviamo a Manigango, dove incontriamo una strampalata tedesca in bici. Poi ancora un centinaio di chilometri fino a Ganzi (Garze).
La strada, a volte, e’ davvero improponibile. Ganzi e’ un cittadone assordante, caotico dalle strade fangose. Dormiamo al coperto dopo 20 nottate in tenda. Ovvio nella topaia non c’è l’ombra di una doccia. Diluvio in serata.
I cessi sono in fila ed un tubo trasporta l’acqua in una canaletta, in modo tale da ammirare per bene ‘le opere d’arte’ del tuo vicino.
Il nostro visto e’ quasi scaduto, cosi’ che ci tocca di lasciare le bici a Ganzi, stiparci in un minipulmino scassatissimo e sorbirci 15 ore di 400 km di strada delirante, tutta buche e sassi e musica tibetana no stop.
Distrutti e minati nel fisico giungiamo a Kangding, dove il poliziotto cinese di turno ci accoglie cosi’:”Non vedo vostre registrazioni in alcun hotel da molto tempo in Cina. Se volete rinnovare il visto dovrete farlo a Chengdu!”
Allibiti, rifiutiamo degnamente, di sorbirci un altro viaggio della speranza, in un posto ancora piu’ lontano. Vedendo le nostre facce o non si sa perché, il poliziotto ritratta pian pian e ci concede l’estensione!
Testo di Bernardo Moranduzzo | Fotografie di Marcella Stermieri
*presentazione a cura di Marco Turini
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