testo e foto Luciano Pieri.
Già 100.000 anni fa, nel medio paleolitico, il centro dell’Asia era abitato da popolazioni, isolate dall’Europa da grandi fiumi e da immense paludi.
Solo nel terzo millennio Avanti Cristo, popolazioni nomadi dedite all’allevamento del bestiame, dettero inizio ad una continuità culturale con gli indoiraniani, stanziali che parlavano una lingua che purtroppo non è giunta fino a noi.
Queste popolazioni lasciarono le tracce della loro civiltà nei kurgan, tumuli funerari dove venivano inumati i loro re e i loro notabili.
I primi documenti certi, relativi alla storia di questa regione, compaiono dal sesto secolo Avanti Cristo quando, sotto l’impero persiano degli achemenidi, nacquero vari regni satelliti chiamati satrapie, quali: Sogdiana, Khorezm, Battriana, Margiana, Arachosia.
Forse la più famosa fu la Sogdiana, chiamata dai romani Transoxiana, compresa tra i fiumi Syr-darya e Amu-darya, che per secoli costituirono, data la loro ampiezza, un invalicabile confine.
Proprio in questa regione, verso la metà del 1300, per una frattura politica in seno all’impero mongolo, nacque la grandezza del tiranno dei tiranni: Timur, lo Zoppo, per noi Tamerlano.
Dalla capitale del suo regno, Samarcanda, saccheggiando i paesi vicini delle loro ricchezze e dei loro migliori artigiani, creò un suo mondo le cui magnificenze risplendono ed abbagliano ancora ai giorni nostri.
Nel Turkmenistan ci arrivai, in una notte di aprile, con un volo della Turkish Airline che da Istambul mi portò ad Ashgabad.
Questa strana capitale, a pochissimi chilometri dal confine iraniano, è stata da sempre un luogo dimenticato del quale pochissimi hanno sentito parlare eppure, oggigiorno, è qualcosa di unico al mondo.
Fu completamente distrutta da un terremoto nel 1948 che causò oltre 110.000 morti, fu chiusa per decenni agli occidentali, fino a che nel 1991, con la restaurazione della repubblica del Turkmenistan, indipendente dall’URSS, per opera del suo primo ed unico presidente, Niyazov, fu ricostruita di sana pianta in un modo molto originale.
Niyazov che dal suo insediamento si autodefini “capo di tutti i turkmeni” con il motto “Io, la nazione, il popolo”, rase al suolo quante abitazioni esistevano, sgombrò tutta la popolazione dalla zona, e in questa area, in mezzo al deserto, fece costruire una immensa città di marmo da lui stesso progettata.
Perfino le case popolari sono di marmo, i monumenti, le strade dei giardini, tutto è di marmo, ma poi solo alcuni appartamenti furono assegnati a funzionari statali lasciando tutto il resto vuoto, come vuote sono le strade solcate solo da rare automobili; l’impressione è di essere in una città dove una futuristica bomba abbia da poco cancellato il genere umano.
A circa venti chilometri da qui c’è un sito archeologico molto importante, Nissa, l’antica capitale dell’impero dei parti dove scavi degli archeologi russi prima e di seguito degli italiani hanno molto parzialmente riportato alla luce alcuni reperti, i più appariscenti i basamenti delle 43 torri che costituivano il punto forte della sua difesa.
Nella parte sud del Turkmenistan passava una delle Vie della Seta il cui nodo principale era l’antica città di Merv.
Qui la carovaniera si divideva in due rami: uno passando da Bukara e Samarcanda arrivava in Mongolia, l’altro, più a sud, per Bactria in Afganistan, attraversava le valli del Karakoram, il Pamir, fino ad arrivare a Kashgar.
Di Merv, dice la storia, sia stata visitata da Alessandro Magno che la trovò una magnifica e ricca città di cui il tempo ha lasciato ben poco per le continue distruzioni fatte dagli arabi, dai turchi e poi dai mongoli fino al 1600 quando fù conquistata dai persiani che la sottomisero per 150 anni. Ma per fortunati cercatori di antichità, quando piove, affiorano ancora monete di tempi antichissimi.
Attraversando poi verso nord il deserto del Karakum, il più arido dell’Asia centrale, si giunge a Khounia-Urgench dove il potere distruttivo, degli eserciti di Gengis Kan e di Tamerlano, aleggia su questo luogo devastato quasi ottocento anni fa.
Rimase in piedi il minareto di Gutlung che alto 64 metri, in questa pianura sterminata, serviva come un faro di riferimento, e alcuni sacri mausolei di una bellezza struggente.
Passando una terra di nessuno larga un paio di chilometri si giunge nella Repubblica dell’Uzbekistan.
Siamo nell’antica regione del Khorezm, costeggiando il grande fiume Amu-Darya che i romani chiamavano Oxus, troviamo un primo gioiello, la città di Khiva.
Secondo la leggenda fu fondata da Sem, figlio di Noe, che qui scavò un pozzo che chiamò Kheivak e da questo il suo attuale nome.
Khiva, circondata da pittoresche mura in mattoni di fango risalenti al 1700, conserva ancora intatte, nel suo perimetro, un grande numero di moschee, scuole coraniche, minareti ricoperti di piastrelle policrome e un affascinante bazar.
Il nome di Khiva, ancora nel 1800, rievocava carovane di schiavi, crudeltà barbariche, terribili viaggi attraverso deserti e steppe, era un luogo che incuteva paura.
Il capitano russo Nikolai Muraviev, che nel 1819 venne qui inviato dallo zar in missione diplomatica, calcolò di aver contato circa 30.000 schiavi di cui 3.000 russi, trattati bene, come si tratta bene un animale da lavoro che vale assai denaro.
Da qui, attraverso la regione desertica del Kizil Kum, si arriva a Bukhara, altra città il cui nome muove fantasie di Khan crudeli, di ricchezze favolose, di tappeti da sogno.
E’ una bella città, circondata da possenti mura e con una cittadella fortificata che permise, agli emiri, di regnarvi dall’anno 1000 al 1920.
I monumenti che conserva sono innumerevoli e ne citerò solo uno che si distingue per la sua bellezza e la sua unicità: Il Mausoleo di Ismail Samani.
Costruito nel X secolo per accogliere il fondatore della dinastia samanide, è giunto integro fino ai giorni nostri grazie alle sue mura spesse due metri e per il caso che volle non fosse visto da Gengis Kan durante la sua invasione, perchè in quel momento era ricoperto dalla sabbia del deserto.
La delicata muratura del mausoleo di mattoni di terracotta, cambia gradualmente di “carattere” nel corso della giornata, man mano che cambiano le ombre, presentandosi sempre con disegni geometrici diversi.
Da Bukhara a Samarcanda, per una via fiancheggiata da piante di gelso che attraversa campi coltivati a cotone, ci sono 430 chilometri.
A poco più di metà strada c’è Shakhrisabz la città natale di Tamerlano.
Qui il 9 aprile 1336 vide la luce, nel clan dei Barlas, il più famigerato dei tiranni, però così illuminato dal punto di vista delle arti, che trasformò questa località in un luogo così bello da mettere in ombra ogni altra città.
Purtroppo a causa delle ritorsioni dei suoi nemici dopo la sua morte, ben poco è rimasto, se non i fantasmi di un luogo grandioso.
E finalmente si arriva a Samarcanda la città che un vero viaggiatore dovrebbe visitare almeno una volta nella vita.
In un suo poema, James E. Fecker dice:
“……per la bramosia di conoscere ciò che non
dovrebbe essere sconosciuto,
percorriamo la Strada Dorata
che porta a Samarcanda.”
E’ impossibile elencare tutte le bellezze di Samarcanda, quindi basterà le due che particolarmente mi hanno emozionato:
Il Mausoleo di Guri Amir con la cupola azzurra a cipolla scanalata sotto la quale ci sono, la tomba di Tamerlano coperta da un blocco di giada verde scuro, e quelle dei figli, nipoti e personaggi da lui amati.
Il Registan, la grande piazza, centro commerciale della Samarcanda medievale quando arrivavano qui le carovane dei mercanti da est e da ovest e la trasformavano in un enorme bazar.
La circondano maestose madrase ricoperte di maioliche e mosaici azzurri. E’ uno dei più straordinari monumenti del centro Asia.
Si possono passare ore, seduti sui gradini della scalinata che ne permette l’accesso, godendo della vista dei colorati monumenti e del viavai delle donne di Fergana nei loro pittoreschi abiti.
Voglio citare un altro monumento molto particolare, la Tomba del Profeta Daniele.
Il corpo del Profeta, portato qui da Tamerlano, è contenuto in un sarcofago lungo diciotto metri e narra la leggenda che cresca di mezzo pollice l’anno, quindi periodicamente la sepoltura deve essere allungata.
Si lascia l’Uzbekistan dalla sua capitale, Tashkent, che ricordo solo per due cose: la prima il mercato delle pulci di Tezykovka, dove, si racconta, sia possibile acquistare dai chiodi fatti a mano fino alle bombe atomiche, la seconda gli occhi delle bellissime ragazze uzbeke che arrivano ad avere tonalità azzurre, verdi, viola.