Venti anni fa, Valeria ha vissuto a Brixton, allora sgangherato quartiere popolare di Londra. In una fine di anno, confine di una nuova vita, ha deciso di tornare…
Testo e foto di Valeria Cipolat
La Carnegie Library è il centro comunitario più vicino alla casa dove ho deciso di passare la fine dello scorso anno. Oltre al servizio di biblioteca, ci sono corsi per tutti i gusti. Spiando la bacheca si può scoprire quali sono attivi. C’è anche un piccolo poster: segnala che di lunedì il caffè e il thè sono gratis, così da attrarre quelli che potrebbero avere remore ad entrare, perché non hanno soldi. Nonostante la gentrification (concetto sociologico che indica il progressivo cambiamento socioculturale di un’area urbana da proletaria a borghese a seguito dell’acquisto di immobili, e loro conseguente rivalutazione sul mercato, da parte di soggetti abbienti), il borgo di Lambeth, di cui Brixton fa parte, è uno dei più poveri di Londra, Anche nel poster con gli orari per lo yoga, c’è un post scriptum: se non puoi pagare l’iscrizione, fammelo sapere e vediamo come posso venirti incontro.
Ma non è per i corsi o per chiedere in prestito un libro che sono entrata qui. Quel che cerco si trova oltre la porta di servizio. Me l’ha detto il bibliotecario. Stava ancora aprendo la grata del portone, quando gli ho chiesto se poteva dirmi dove si trovava il giardino. Perché il giardino? Mi chiede incuriosito. Con questo freddo, stai meglio dentro. Conclude, con un lieve sorriso. Ho un lieve tremore nella voce quando glielo spiego. Ci dovrebbero essere delle panchine, in memoria della mia amica. Oh si! Ci sono. Mi conferma, tornando serio. Ecco, mi dice, indicandomi la via attraverso le vetrate. Attraversa tutta la libreria ed esci di là. Lo ringrazio, e varco la soglia. Esco dalla porticina posteriore, ci sono delle scale di metallo che scendono fino al piccolo giardino, scarno di piante e fiori per l’inverno ormai avanzato. Le panchine di legno sono lì davanti a me. Una lacrima è riuscita a esondare. Mi avvicino alla targhetta commemorativa, riconosco il suo nome e leggo la dedica. E’ una frase di James Baldwin, scrittore a me sconosciuto: “Trust in life and it will teach you, in joy and sorrow, all you need to know”. Perfetta!
Riprendo la strada, e dopo circa 20 minuti di camminata arrivo nel centro di Brixton. Voglio andare a vedere com’è oggi Electric Avenue. Nel 1880, proprio a Brixton viene inaugurata una “grandiosa” galleria di negozi in una delle prime strada di Londra a essere stata illuminata da luce elettrica e per questo chiamata proprio Electric Avenue. La chiamavano la Oxford Street del Sud. Avevano costruito delle belle pensiline vittoriane di acciaio e vetro sotto la quale la gente passeggiava senza fretta, guardando le vetrine dei negozi dell’epoca. Sotto il ponte della ferrovia che passa sopra la strada principale, si possono ancora intravedere le insegne di gioiellieri, orafi e negozi di lusso dell’epoca. Con i bombardamenti della II Guerra Mondiale, arrivati proprio fino alla zona sud di Londra, arrivò anche il degrado della zona e di quella “grandeur”, oggi, non rimane molto, anche se considero questo quartiere, uno dei miei preferiti.
È stato il primo quartiere dove ho abitato per circa un anno. A quel tempo per la maggior parte dei londinesi, il nome di Brixton evocava la famosa rivolta del 1981, “The Brixton riots”, quando gli abitanti di colore, stanchi di subire costantemente soprusi dai poliziotti, per tre giorni affrontarono la polizia, attaccarono edifici statali e bruciarono le auto in strada. Ora, nella stessa zona c’è questa scritta “STAY IN PEACE” che sovrasta la carreggiata della strada principale. Viaggiando al primo piano dei tipici autobus rossi che vanno verso il centro, è impossibile non vederla. A pochi metri da lì, dall’altra parte della stazione c’è anche il Memoriale a David Bowie. Un obbligo passarci.
Lì vicino c’è anche l’Academy Brixton. A luglio del 2001 ero andata a vedere Milton Nascimiento e Gilberto Gil, prima che questi diventasse Ministro della Cultura in Brasile, sotto il governo di Lula.
Questo posto è un’istituzione per la storia della Musica. C’è un cartello in un negozio lì vicino che vende solo vinili: peccato essermi persa il concerto tributo di Ziggy Marley di giugno scorso al suo famoso padre.
Quando sono arrivata nel maggio del 2000 i prezzi delle abitazioni erano ancora ragionevoli e chi aveva avuto la lungimiranza di comprare allora, nel giro di pochi anni si era poi ritrovato il valore della propria casa decuplicato. Ma le aggressioni e gli accoltellamenti per la strada erano ancora all’ordine del giorno, spesso per regolare questioni tra bande rivali e spacciatori. Soltanto nel tragitto pedonale per raggiungere la metropolitana, potevano esserci tre o quattro cartelli gialli della polizia che chiedeva informazioni per un assalto accaduto la sera prima. Quando tornavo da Chelsea la sera tardi, i taxisti mi chiedevano due volte la destinazione, per essere certi che volessi andare proprio là. Un vecchio amico che era venuto a trovarmi, mi aveva poi confessato che per tutta la durata della nostra passeggiata serale nel quartiere, aveva tenuto in tasca le chiavi della sua auto, impugnate tipo stiletto tra le dita. Avendo vissuto mesi a Città del Guatemala dove mi muovevo solo con i mezzi pubblici e dove avevano calcolato che si verificava un assalto ogni 15 secondi, tutta quella nomea non mi aveva spaventato granché. Ma quando scendevo dall’autobus la sera, lo facevo solo un attimo prima che le porte si richiudessero, accertandomi anche che nessuno mi seguisse mentre camminavo rapidamente verso casa.
Appena arrivata, per qualche giorno alla settimana lavoravo come volontaria al Cuba and Nicaragua Solidarity Campaign Office. Ci pagavano il trasporto e il pranzo. Imbustavamo a mano lettere indirizzate ai vari sostenitori dell’associazione. Uno tra tutti aveva destato il mio interesse: Paul Laverty, amico e sceneggiatore di quasi tutti i film di Ken Loach, compreso “La canzone di Carla” ambientato tra Glasgow e Nicaragua, scoprii essere mio vicino di casa. Avevo già smesso di lavorarci invece quando Alberto Korda, indignato per la campagna pubblicitaria della vodka Smirnoff che aveva utilizzato la più famosa immagine del Che, chiese proprio al Cuba Solidarity Campaign di aiutarlo a portare in tribunale l’agenzia pubblicitaria che aveva impropriamente utilizzato la foto per un superalcolico. Il Che non aveva mai bevuto. Un’amica mi teneva aggiornata delle evoluzioni del caso, in quanto accompagnava Korda alle conferenze stampe organizzate durante il periodo del processo.
Altri giorni invece erano dedicati al Refugees’ Council. Accompagnavo i rifugiati di allora che arrivavano principalmente da Paesi africani in cui infuriavano ancora guerre civili raramente coperte dai giornali europei. Li aiutavo a orientarsi con i mezzi pubblici in una città difficile da comprendere. Li accompagnavo a fare le proprie commissioni per richiedere lo status di richiedente asilo. Oppure alle cliniche dove qualcuno aveva prenotato loro visite dentistiche e mediche che attestassero che erano stati torturati. Traducevo per loro dal francese, se il loro inglese non era abbastanza fluente.
Ferndale Road oggi è molto diversa da allora. Ritrovo la strada dell’associazione, ma l’edificio che l’ospitava non esiste più. Lì vicino un bell’edificio restaurato stile liberty, che ospitava il famoso negozio francese “Bon Marché”. Ora ospita un bellissimo ristorante, The Department Store, un po’ decadente con un grande banco centrale, tavoli con separatori e lampade art-déco e file di luci dorate che sovrastano la sala.
Cerco e ritrovo la prima casa dove ho abitato per un anno appena trasferita: sembra fosse la prima casa popolare venduta, dopo che la Tatcher negli anni ’80 con la sua ondata di privatizzazione del settore pubblico, aveva dato la possibilità di farlo. Con un’amica dell’ufficio avevamo preso in affitto la casa di un collega che era andato a lavorare un anno in Timor-Este. Le nostre strade si erano divise alla fine del periodo. Io ero andata poi ad abitare nell’East-End, mentre lei era rimasta ancora un po’ al Sud. Hanno costruito dei nuovi edifici popolari, ma nonostante la giornata grigia, non si respira più miseria e degrado tra questi vialetti.
Da disoccupata, il mercoledì (o era martedì?) era dedicato a sfogliare il giornale che pubblicava solo annunci per Ong o Charities, come le chiamavano qui. Mi alzavo comunque presto, arrivavo all’edicola e compravo il Guardian. Lo leggevo sotto il grande albero che si trova ancora di fronte al Ritzy. L’ho rivisto, mentre passeggiavo per il quartiere. La zona è stata ridisegnata. Cerco di ricordare com’era allora, quando condividevo le altre pagine e le panchine con vecchi Rastafari curiosi che bighellonavano in giro, in attesa di ricevere la propria pensione o l’assegno di disoccupazione. Le panchine non ci sono più, ma poco distante ho notato che c’è il Black Cultural Archives: un centro di archiviazione e patrimonio dedicato alle storie di persone di origine africana e caraibica in Gran Bretagna. Un giorno di questi dovrò visitarlo.
Non ricordavo che Brixton è chiamata anche Little Jamaica, ospitando la comunità della grande isola caraibica più popolosa del mondo, al di fuori del proprio Paese. Quasi mezzo milione di giamaicani si sono trasferite a Brixton dopo la Seconda Guerra Mondiale, vennero chiamate la Windrush Generation. Nelle fabbriche c’era bisogno di manovalanza, così andarono a ingrossare l’esercito degli operai necessario a far ripartire l’economia nel dopoguerra. Le persone che ora abitano qui, sono i loro discendenti.
A Brixton c’è anche il mercato afrocaraibico più grande d’Europa. Qui si possono trovare tutte le merci possibili che erano così comuni nei mercati d’Africa, Asia e America Latina che ho visitato. Pesce secco, okra, tapioca, frutti esotici. Mi viene voglia di un Patty, una specie di sofficino giallo che adoro. Io amo quello vegetariano (anche la religione dei Rastafari imporrebbe una dieta vegetariana “to stay healthy and spiritually connected to the earth” – per restare in salute e connessi spiritualmente con la terra), ma oggigiorno si possono trovare anche varianti con pesce e carne – sicuramente non di maiale. Anni fa li vendeva all’angolo un vecchietto che deve aver fatto i soldi. Non è più lì, ma scommetterei che il negozio a pochi metri da dove si trovava lui, è gestito dai suoi figli e nipoti. Entro nel negozio che si trova all’altro angolo della strada. Li servono ancora caldi.
Chiudo gli occhi e l’odore di spezie e il sapore forte mi riportano indietro di circa 20 anni.
La chiesa di St. Matthews si trova al centro di un incrocio. Qui venivamo a fare le prove di musica, quando suonavamo nella scuola di samba. Qui ho imparato a suonare lo chocalho (quello strumento fatto di dischetti che fa sh sh sh) e i passi base per ballare. Complici un paio di birre e i piedi andavano da soli. Sempre qui abbiamo imparato i fondamentali per partecipare al Carnevale di Notting Hill e per suonare anche al sambodromo di Rio de Janeiro nel giorno dedicato ai bambini. Qui con Fi e S. siamo diventate le “chocalhetes”.
Riprendo a camminare, si sta facendo tardi. Passando per il parco si risparmia un po’ di strada. Brockwell Park è un parco molto frequentato. Cani e padroni stanno facendo la passeggiata serale. Cammino verso il punto più alto della collina. Da lì si vede tutto lo skylight della City. Sono passati già tre giorni dal mio arrivo a Londra. Sono una pessima turista, non ho ancora visitato i classici luoghi della città. Le mille luci di Londra sembrano così lontane. E io mi sento bene qui.