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Può accadere a chi visita una città per la prima volta di sentirsi estraneo camminando per strada, associando sovente a quella sensazione di smarrimento una lieve euforia che rende piacevole il perdersi in luoghi non familiari. Queste sensazioni possono nascere da vari elementi ma difficilmente un viaggiatore le può trovare qui: la celeberrima via dei Fori Imperiali, quello che una volta era considerato il centro politico della Roma caput mundi, è calpestata quasi esclusivamente da turisti che hanno ben impressi negli occhi e nella mente i suoi monumenti. Un tale accentramento di beni culturali conosciuti in tutto il mondo rappresenta un ottimo terreno sul quale seminare per generare profitti. Il solo Colosseo, un brand stimato in 91 miliardi di euro, attira ogni anno oltre 4 milioni di visitatori fruttando 35 milioni di euro solo con gli ingressi.
È difficile trovarvi romani intenti ad osservare la loro città, e nonostante sia un giorno di festa ed il posto si conceda alla meditazione, non si vede nessuno che si fermi a respirare, a riflettere o a leggere all’ombra di uno di questi monoliti millenari, con la speranza di riceverne magari dei benefici. Non si vedono persone che si intrattengano a parlare, fatti salvi i capannelli che attorniano le guide turistiche, ai piedi dei monumenti, intorno ai quali girano senza sosta nugoli di venditori ambulanti con il proposito di vendere a tutti la stessa merce. La strada è occupata per gran parte da una manifestazione che ha l’intento di promuovere lo sport tra i più giovani. Poco più in là la banda inizia le prove per un’esibizione e la cacofonia dei suoni proveniente dagli ottoni si confonde con le voci gioviali delle ragazze e dei ragazzi che si affrontano sui campi da gioco improvvisati.
Il movimento è la dimensione che caratterizza questo microcosmo fatto di tante genti diverse, di tante etnie e culture ritrovatesi insieme per caso. Gli sguardi si incontrano per pochi istanti, come per ricercare la sicurezza di avere davanti un proprio simile. La vista della piazza del Colosseo dalla terrazza soprastante la fermata della metropolitana colpisce soprattutto per l’incessante brulicare di persone nel quale ogni individuo sembra muoversi in modo meccanico verso mete predefinite; un flusso continuo tocca le varie tappe del percorso rappresentate da questa architettura o da quell’area archeologica. Basta un uomo con una valigetta in mano ad attirare immediatamente l’attenzione su di sé per l’abito dai colori sgargianti che indossa e per la decisione con cui attraversa la strada in direzione opposta al senso di scorrimento, verso l’arco di Costantino. Muoversi come una goccia nel mare in questi pochi metri quadrati di Roma lascia una lieve sensazione di precaria provvisorietà, enormemente amplificata dallo sfondo immobile ed immutato, la quale viene alleviata da un forte quanto repentino acquazzone, coda di una estate non ancora pronta a farsi da parte.
La variopinta composizione etnica e culturale che salta agli occhi si ferma all’apparenza della scena. Come i visitatori in larga parte sono interessati alla simulacralità del luogo così i numerosi artisti di strada, i venditori, i vetturini e le comparse all’esterno del Colosseo abbigliate con l’abito del perfetto legionario, sono indaffarati nella loro attività orientata alla soddisfazione dei bisogni – se necessario inventandone di nuovi – del turista-cliente per riuscire a raggiungere il guadagno sperato. Solo pochi sembrano essere allegramente fuori da questo meccanismo. Andrea è ligure, un bel viso sorridente, canta canzoni pop inglesi a raffica imbracciando la sua chitarra. Una bella voce che invoglia a farsi ascoltare. È molto disinvolto e sembra che venga lì da molto tempo. Dopo l’iniziale interesse la folla non gli riserva più molte attenzioni. Rimango un po’ ad ascoltarlo. Poi decido di alzarmi per fare un altro giro, dirigendomi verso il Colosseo convinto di ritrovarlo ancora al suo posto. Invece poco dopo lo vedo da lontano che inizia a sbaraccare in modo deciso il suo piccolo amplificatore. I vigili urbani gli hanno imposto di abbassare il volume perché fastidioso, nonostante sia udibile a non più di venti metri. «Queste cose fanno passare la voglia» dice, riferendosi al fatto che poco più in là un ragazzo di origini andine invece non venga redarguito per il volume del suo altoparlante, che diffonde vecchie canzoni riarrangiate e suonate con il flauto di pan. Alla domanda come va, Andrea risponde «una m…a. Suono per fare qualche soldino e non mi sembrava di dare fastidio. Qui è un po’ così. Non è più come prima. Anche gli artisti che fanno le sfingi non sono più attori, ma i soliti ragazzi che la sera vanno a vendere le rose». Mi dice che lui è un attore di teatro, e che però continua a coltivare la sua passione per la musica. Quando era ancora in Liguria suonava in un gruppo con il quale faceva molte serate nei locali, ma adesso non ha più tempo. Nonostante le difficoltà a cui accenna traspare tutto il suo entusiasmo nel cantare, anche solo per farsi ascoltare da qualcuno che passa distrattamente, magari non risparmiando qualche risolino di scherno. Purtroppo ci salutiamo dopo pochi minuti mentre inizia a spostarsi con tutto il suo armamentario e penso che mi piacerebbe molto poter rimanere ancora lì a parlare e ad ascoltare la sua bella voce, ma non lo voglio trattenere.
Camminando ed abbandonandosi all’aria pomeridiana che annuncia il tramonto, il posto perde un po’ quei connotati di messa in scena per acquisire una genuinità difficile da scovare prima. I mimi dismettono il costume da sfinge riacquistando le loro sembianze umane, permettendosi anche di scambiare poche frasi con i colleghi o i passanti. Qualche bicicletta scivola avanti lentamente, zigzagando tra coloro che camminano in mezzo alla strada. Arrivano anche alcuni gabbiani a raccogliere le briciole dei pasti consumati durante la giornata. Uno di questi volatili attira la curiosità e l’ilarità di molti, andandosi ad adagiare con indifferenza su di una colonna scambiata per un trespolo.
Il Foro è anche questo. A fianco delle star culturali internazionali, un po’ restie a concedersi, si svolgono sotto voce scene di una vivissima quotidianità. Si arriva con il Colosseo negli occhi, ma può capitare di andarsene portandosi via impresso un piccolo dettaglio.
Di Michele Pisaneschi