Testo di Fabio Bertino | Fotografie di Roberta Melchiorre
E’ poco più di un’ora che mi trovo in città e, grazie a Issa, ho già un invito per il tè. Con buona pace di chi pensa che la leggendaria ospitalità mediorientale sia solo un luogo comune. Appena lasciato il vicoletto del Palace Hotel, Al-Malek Faisal Street e le stradine laterali mi riportano all’atmosfera di Midan Ataba al Cairo o della Porta di Damasco a Gerusalemme. Le piccole botteghe si succedono l’una dopo l’altra, e la merce esposta fin sulla via ingombra i marciapiedi di scarpe, abiti da donna ricamati, giocattoli, uvetta, datteri, valigie, pantaloni, mele, telefoni cellulari, focacce, cibo di strada. Ai negozietti si alternano cambiavalute della Western Union, venditori di spremute d’arancia, piccoli alberghi, barbieri, chioschi che servono tè e caffè arabo, mentre il profumo del pane cotto al taboon e dei mucchi di olive sulle bancarelle si mescola ai gas di scarico delle auto che intasano le strade.
Il-Balad, il centro storico di Amman, sembra incarnare perfettamente gli stereotipi da guida turistica sui colori, gli odori ed il caos del Medio Oriente. Ma è tutto meravigliosamente autentico. All’incrocio con Hascemi Street supero la grande Moschea di Re Hussein. E’ venerdì, e centinaia di uomini si stanno dirigendo verso l’edificio. Parecchi portano un cartone o un telo su cui inginocchiarsi. All’interno il pavimento è coperto di tappeti, ma l’afflusso è tale che la Moschea non sarà in grado di contenere tutti. Molti quindi pregheranno in strada. Per l’occasione questo tratto della via, in genere ingorgato da un traffico caotico, è chiuso alle auto, e la presenza di soldati e polizia è massiccia ed ostentata.
Un paio di isolati più avanti i venditori di uccelli vivi espongono a terra i loro articoli rinchiusi in ceste, piccole gabbie o semplicemente legati per le zampe. Ci sono galline, tacchini, oche ma anche colombe, canarini e pappagalli. Fra gli oltre venti jebel, i colli su cui sorge la capitale giordana, nei primi anni 2000 alcuni come Jebel Amman, ad ovest, e Jebel al-Hussein, a nord, sono stati investiti dal progetto della “Grande Amman”. Un fermento immobiliare ed urbanistico che ha visto la costruzione di complessi residenziali moderni, alberghi di lusso, negozi alla moda, caffè, ristoranti e centri commerciali. E che oggi segna il profilo cittadino anche con la foresta di gru immobili e di cantieri che procedono a rilento. Qui a downtown, invece, la città mantiene il suo cuore antico e tradizionale. Un cuore di vecchi edifici di chiara pietra calcarea, di strade brulicanti di umanità, di clacson, file di lampadine colorate, musica a tutto volume, muri scrostati e antenne paraboliche. Dove i niqab neri e gli hijab multicolori si mescolano a lunghi capelli corvini sciolti, le kefiah rosse locali a quelle bianche e nere palestinesi e dove i volti tra la folla raccontano una storia millenaria di contaminazioni, invasioni, rotte carovaniere ed imperi che si sono succeduti su questo confine tra Asia, Africa ed Europa.
Al Nabali, il negozio di spezie di Issa, è al numero 70 di Al-Malik Talal, di fianco al cinema Amra. Un altro cliché dell’Oriente che si rivela un antro di delizie. Il lungo bancone in legno scuro ed i vecchi scaffali alle pareti traboccano di barattoli, cassette, cesti e vasetti ripieni di ogni ben di Dio. Cardamomo, cannella, noce moscata, caffè, differenti varietà di tè, mandorle verdi, zucchero, zenzero, chiodi di garofano, karkadè, cumino, arachidi. Più molte altre che non so individuare e di cui Issa non conosce il nome inglese. Ci sono poi i prodotti di erboristeria. Radici, estratti animali e vegetali, miscele, olii. Il mio giovane amico indica una polverina gialla che, sciolta ogni mattina in un bicchiere di latte, sembra miracolosa per i disturbi intestinali. “Molti turisti dovrebbero comprarla!” aggiunge poi ridendo. Un’altra polvere cura la nausea, e ci sono rimedi per il mal di testa, il raffreddore, la debolezza, l’insonnia. Più in là non mancano gli articoli “moderni”. Come confezioni di fanghi e di sali del Mar Morto, gomme da masticare e lattine di Red Bull. Issa è poco più che un bambino. Avrà al massimo una quindicina d’anni. Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalla sua giovane età. Molti banchetti e negozi della zona sono gestiti da ragazzini ben più piccoli. E infatti Issa conosce bene il suo lavoro. Quando gli parlo della mia passione per lo Za’tar, la deliziosa mistura mediorientale a base di sesamo, timo e sale, me ne fa assaggiare le diverse varianti, spiegandomi le differenze fra la versione palestinese, più scura, quella giordana, di colore verde, e quella siriana, più pungente e tendente al rosso. Poi accenna alcune ricette e mi indica un paio di ristoranti della zona in cui provarle. Mentre beviamo il tè, dalla Moschea ci arriva il richiamo del muezzin. Issa abbassa rapidamente la serranda del negozio. “Chiudete durante la preghiera?” domando stupito. “Di solito no” risponde lui “ma oggi, subito dopo, ci sarà una dimostrazione”. La chiama “demo”, utilizzando un termine gergale quasi vezzeggiativo. Come chi si riferisce a qualcosa di familiare. “E’ per la visita di Obama?” chiedo, pensando al fatto che il Presidente statunitense atterrerà oggi ad Amman dopo aver visitato nei giorni scorsi il Cairo e Gerusalemme. “No” replica lui “contro l’aumento dei prezzi causato dall’incremento del costo del gas”. Si avvicina il commesso del negozio, un ragazzo poco più grande di Issa. Dice qualcosa in arabo. “Lui è Omar, ma non parla inglese. E’ siriano” traduce Issa. Mi spiega che Omar è di Homs, una delle città più duramente coinvolte negli scontri fra esercito e ribelli che sconvolgono la Siria dal 2011. E’ fuggito dal suo paese da oltre un anno e da allora non sa più nulla di parenti e amici. Alla frontiera è stato derubato di tutto, arrivando così ad Amman senza neanche un fil in tasca. Racconto del viaggio di qualche anno prima che, fra Damasco, Palmira ed Aleppo, mi aveva condotto anche ad Homs. Così parliamo un po’ del paese vicino e della sua drammatica situazione. Issa mi chiede cosa se ne dice in Italia, e cosa scrivono i nostri giornali. E’ molto ben informato, perfettamente consapevole di quanto gli avvenimenti mediorientali siano condizionati dai grandi interessi internazionali in gioco. Io invece sono un po’ in difficoltà ad ammettere di fronte al mio nuovo amico che, come per la gran parte dei conflitti nel mondo, i media europei non pongono certo quello siriano fra le loro priorità. E sono ancora più in difficoltà quando Omar, tramite Issa, chiede se per lui sarebbe possibile ottenere il visto italiano come profugo di guerra. Chiacchieriamo ancora un po’ della Giordania, ci scambiamo gli indirizzi e-mail e ci salutiamo.
Tornato in strada mi rituffo nella folla. Poco più di 100 chilometri a nord da qui, appena oltre il confine si combatte furiosamente. Intanto dal fondo della via giunge la eco della dimostrazione. Il cielo azzurro di downtown Amman si sta lentamente coprendo di nubi.
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