Jan Vermeer era un uomo riservato e schivo. Non ha quasi mai lasciato il suo paese. Ha avuto undici figli e ha dipinto solo 37 quadri. Eppure, nel XXI secolo, è diventato una star internazionale: se non avete prenotato mesi e mesi fa, non riuscirete a vedere la mostra che Amsterdam gli ha dedicato. E un biglietto sul mercato dei bagarini può costare 500 euro. Ma l’emozione della luce catturata da Vermeer è impagabile.
Testo di Lucia Zambelli
Le nuvole che trascorrono nel cielo di marzo di Amsterdam mentre si attraversa il Museumplein sembrano quelle della veduta di Delft di Vermeer, uno dei primi dipinti del giovane Jan, il più famoso paesaggio urbano del Seicento olandese. È morto presto Jan, lasciando in mezzo ai debiti moglie e undici figli, e nei 43 anni vissuti quasi sempre a Delft ha dipinto solo 37 quadri (forse di più, ma questi sono quelli riconosciuti). Il Rijksmuseum di Amsterdam ne ha riuniti 28: oltre a quelli già posseduti dal museo, sono arrivati da tutto il mondo (7 paesi, 14 musei, collezioni private, qualcuno li ha negati). Ed entrare negli spazi ariosi e luminosi del Rijksmuseum dà la sensazione e l’innegabile emozione di essere tra i privilegiati che assisteranno a un evento unico.
Ne parlano come della mostra dell’anno, addirittura del secolo. Biglietti sold out fin dai primi giorni di apertura, bagarinaggio sfrenato, aste che raggiungono i 500 euro (costo base del biglietto, 32 euro). Un clamore che stona e contrasta con l’essenza intima e riservata delle opere di Vermeer, tutta racchiusa nella vita di provincia olandese. Quasi tutti i dipinti in mostra rappresentano tranquille scene domestiche, non certo soggetti grandiosi, universali, eroici… A parte la famosa veduta di Delft e la stradina di Delft, gli altri sono tutti interni o ritratti, spesso variazioni di uno stesso soggetto, con la moglie e le figlie come modelle. E sembra singolare che un pittore di scene così familiari, intime, private, un personaggio alla fine così schivo, riscuota un successo così planetario, muova verso Amsterdam folle curiose e adoranti. Chissà cosa ne penserebbe Jan, che nella sua vita, ancora per molti aspetti misteriosa, si dibatteva tra i problemi economici. Forse sarebbe contento di tutta questa attenzione. O forse ne sarebbe infastidito.
Nelle sale del Rijksmuseum i visitatori – tanti ma molto disciplinati – si fermano in adorazione davanti ai dipinti, molti li fotografano con i cellulari, ormai così fan tutti, o quasi. Scorrono i quadri più famosi, a qualcuno è dedicata un’intera sala. Il più conosciuto tra tutti, La ragazza con l’orecchino di perla. E poi La lattaia, La merlettaia, le tante varianti di donne che leggono o scrivono lettere. Pochi gli uomini: come detto, Jan preferiva ritrarre le modelle che aveva in casa. Tutte scene delimitate da muri, tende, finestre. Con la luce che, tranne qualche eccezione, arriva classicamente da sinistra.
E come facevi da bambina, ti viene voglia di entrare furtivamente in uno di quei dipinti, essere accarezzata da quella luce morbida, godere di quel silenzio, di quel tempo sospeso, trovare il tuo posto tranquillo in quella quiete domestica. Come nel film Usa primi anni Novanta, “Tutti i Vermeer a New York”, nel cui finale la protagonista scompare nello “Studio di fanciulla” del Metropolitan.
(foto di copertina di Photo Rijksmuseum/ Kelly Schenk