Testo e foto di Paolo Rausa
All’approssimarsi del Ferragosto si corre al mare, a rinfrescarsi. A meno che non si arrivi dal profondo sud, Salento, circondato dal mare, terra riarsa, attraversata dai ritmi della taranta. Da Milano, nel cuore della pianura padana, si può andare ovunque. Verso est, siamo attratti da una terra che ci sfugge. Generosa, come la sua gente, ma anche dolorosa per i fatti di storia anche recenti. Storie di confini, scorribande nel corso dei secoli, ma anche opportunità come l’idea di metteleuropea rilanciata dal germanista Claudio Magris e propalata dal giornalista Paolo Rumiz, triestino e di nonno austriaco. Vado indietro con la memoria, al 1980. Volontario in Irpinia, dolorosamente colpita dal sisma. Ho dato una mano nella raccolta e distribuzione delle derrate alimentari, nella logistica. Ho seguito poi le difficoltà della ricostruzione. In quel periodo, nel 1976, una terra nel nord Est dell’Italia, la Carnia, era stata investita da una tremenda onda o scia sismica. Paesi interi rasi al suolo. Uno fra questi, Venzone, medievale che aveva conservato doppia cinta muraria e l’impianto stradale originario, sopra Udine e vicino al confine austriaco, era stato ricostruito e in particolare il Duomo di S. Andrea.
Nessun ingegnere o architetto avrebbe scommesso sulla sua anastilosi. I cittadini numerano le pietre e le composero nel campo sportivo. Da qui una per una sulle rovine che si innalzarono, miracolosamente, nel nuovo tempio cristiano. Un paese che vanta l’orgoglio della sua storia e dei suoi monumenti, che cura il territorio come il proprio corpo! Ora straordinariamente dipinto dal viola della lavanda. Da Venzone a Cividale del Friuli, Forum Iulii, che vanta come ‘conditor’ Giulio Cesare.
La capitale dei Longobardi d’Italia ospita nel Museo Archeologico Nazionale oggetti d’uso quotidiano, monili e codici di questa popolazione che giungeva dal nord Europa e che si espanse in pianura padana facendo di Pavia la capitale del regno e fino a sud, a Benevento, divenendo cristiana, e venendo a contrasti con franchi e bizantini. Una bella cittadina, che ha conteso ad Udine e ad Aquileia la primazia politica e religiosa, una città nobile ed elegante nelle piazze e nei caffè che la invadono.
Per raggiungere Aquileia si punta a sud, caposaldo della via Postumia che giungeva da Genova. Molto cara ai romani e allo stesso Giulio Cesare. Lo testimoniano i resti del foro, del porto fluviale e i numerosissimi monumenti funebri, i pavimenti a mosaico e i vetri multicolori e dalle forme più varie, gli oggetti d’ambra, che qui venivano lavorati ed esportati in tutto l’impero, conservati nel Museo archeologico. Una eredità raccolta dalla Chiesa nella funzione del Patriarcato. Ne è testimone la cattedrale romanica, costruita su una precedente chiesa altomedievale con pavimento a mosaico. Realtà che subirono le invasioni dei popoli dell’Europa orientale e dell’Asia, come gli Unni di Attila. E poi crebbero sotto la protezione della Repubblica di Venezia. Tergeste, Trieste, allunga l’influenza italica a est, sul mare verso l’Istria e a nord, porto di grande importanza per l‘impero austroungarico.
Città di frontiera, che raccoglie nei suoi caffè letterari quel clima di visione ultranazionale tipico di chi aspira a ritenere la città ombelico del mondo irradiante venti di pace. Invece subì i venti di guerra della prima e della seconda con le feroci reazioni sul Carso, le foibe, le lotte intestine, che avevano già avuto il battesimo di sangue sulle malghe di Porzùs.
Il colle di San Giusto con la cattedrale e il castello domina la città, che si sviluppa sulla parte bassa, ampiamente utilizzata dai romani che vi avevano eretto l’arco di epoca augustea e costruito un teatro dalla capacità di 6.000 posti. Ma è nella parte moderna, in quella piazza straordinaria che è chiamata ‘Unità d’Italia’ che fa mostra di sé, la città che vuole abbracciare tutta la penisola con la sua ampiezza. Un viaggio che merita altri e importanti approfondimenti che riguardano per es. il ruolo di snodo della comunità ebraica verso la terra promessa. La fuga e la possibilità di nuove prospettive, di una nuova vita, anche per chi resta se solo si riesca ad affermare quello spirito transfrontaliero che ha da sempre costituito la sua ricchezza, di una terra che trova espressione anche in quel fluido d’oro che è il friulano.