Testo e foto di Francesco Parrella
L’aria condizionata è alta e fa quasi freddo nella comoda carrozza della moderna metro express che dall’aeroporto arriva a New Delhi, accanto alla stazione ferroviaria. All’esterno il clima è tutt’altro. Già a marzo si sfiorano i 35 gradi. «Poco più di un mese fa, qualche notte la temperatura è scesa anche a zero», racconta il portiere dell’albergo che d’un tratto si fa cupo quando parla del mese che sta per arrivare, e ad aprile si raggiungono i 45 gradi e oltre. «A Delhi o arrivi primo, o sei spacciato», ha scritto Ruskin Bond, tra gli scrittori indiani contemporanei più rappresentativi. Devono pensarla così in tanti. L’autista del tuk tuk guida con una mano sull’acceleratore e l’altra sul clacson. E, un pò come fanno tutti gli altri conducenti di un mezzo coperto, ha la testa continuamente fuori dalla cappotta per vedere meglio come conquistare quel poco di spazio ancora libero nel traffico. Le mucche non hanno fretta. Stanno sulla strada e dove possono. Non a New Delhi dove non se ne vedono. Rovistano tra i rifiuti, mangiano, pisciano sull’asfalto. Una addirittura lecca la schiena ad un uomo dolorante piegato in due sul cordolo della strada. La mucca per gli indù è sacra. E chissà che non riesca a sanare anche le ferite. Non tutte girano libere, tante trainano carri e carretti. Il latte è l’altra risorsa. Tanti in strada girano con un secchio di acciaio inox sulla testa pieno di latte destinato alla vendita o alla lavorazione. «A Delhi o arrivi primo, o sei spacciato», le parole dello scrittore tornano durante la fila alla biglietteria, dove c’è sempre qualcuno che fa l’«indiano» e prova a saltare la coda, finanche infilando la testa sotto il mento di chi dopo l’attesa sta finalmente parlando con l’addetto dall’altra parte dello sportello. In metropolitana c’è poco da fare. Nelle ore di punta si sale e si scende dal treno a flussi. Uno addosso all’altro sospingendo a seconda verso l’entrata o verso l’uscita. Tutto sembra avere un suo ritmo e pochi restano a terra. Per respirare un pò, da Pahargani il quartiere con gli alberghi a buon prezzo a metà strada tra Old e New Delhi, bisogna spostarsi a sud del centro. A Greater Kailash, il quartiere della nuova classe dirigente indiana, giovane e cosmopolita, con negozi e ristoranti di ogni genere, cambiano i ritmi e il volto della città. C’è persino più ossigeno qui, d’altronde Delhi rimane pur sempre una delle città in Asia con più verde. I palazzi in stile vittoriano sono ben rappresentati a Connaught Place, centro commerciale e finanziario di New Delhi. Le belle residenze s’intravedono tra i viali alberati di Race Course, tra cui il Birla House in Tees January Road, dove Gandhi fu ospite gli ultimi giorni della sua vita e fu assassinato, e che dal 2005 ospita il Gandhi Smriti, un museo multimediale dedicato al Mahatma, con foto, discorsi, e il telaio dove amava tessere. C’è anche un’istallazione con statuine in terracotta che ripercorre alcuni momenti significativi della sua vita. Per una visita ai templi bisogna ritornare a Old Delhi. Da Chandni Chowk, la vecchia via dell’argento, oggi ricca di bazar, se ne incontrano tanti: indù, giainisti, sikh. La moschea più grande dell’India, la Jama Masjid, che mescola elementi architettonici persiani e afgani, si trova in questo quartiere, come il Red Fort, il palazzo-fortezza di era Moghul. Per strada si vedono mestieri antichissimi, ma anche gente magrissima che trasporta carichi voluminosi sulle spalle. Lungo i marciapiedi tanti negozi di tessuti, gente che cuce, che mangia o si riposa. Lo scampanellìo dei ciclorisciò è continuo, e così le voci degli ambulanti che reclamizzano ogni sorta di merce. Gli odori che arrivano dalle cucine di strada che preparano Lassi o l’Aloo Chaat si mescolano al frastuono e ai ritmi di una comunità popolosa che unisce frammenti di culture e tradizioni contigue e diverse.