Testo e foto di Marco Giorgione
A un migliaio di passi da casa, nell’incantata valle verdeggiante, quando ero un ragazzino con i miei amici giocavamo a calcio davanti la chiesa e succedeva quasi sempre di interrompere il gioco per il passaggio di un certo fuoristrada, molto datato, con alla guida un signore dall’aria curiosa, il suo nome é Virginio.
Decido di andare a conoscerlo realmente circa quindici anni dopo con mio fratello, che lo conosce meglio di me, lasciamo la macchina sul cemento antistante la chiesa e proseguiamo a piedi su questa stradina fatta di sassi e fango. Da lontano si intravede una casetta con intorno una cornice confusionale, un museo di tutto, l’arte del riciclo contadino.
C’è una grande griglia di ferro con sopra pomodori, fichi e mele al sole di agosto, montagne di legna di tutte le dimensioni, un ferro di cavallo e un guinzaglio per cani ridotto male appesi allo stesso chiodo, un mazzo di origano, un secchio con pere e pomodori, un’altro con noci e nocciole. Una borraccia di ferro, un vaso di vetro pieno di olive nere, in una vecchia scatola della Parmalat ci sono i ceci, una scala di legno, un forcone, una serie di zappe, una carriola, una vecchia cucina, un torchio, un braciere e uno specchio. Il tavolo é una vecchia ruota di un mulino e le sedie erano dei pezzi di legna. Qui una porta, un cancello, un vaso, uno scalino, un tavolo é il recupero di qualcosa, come se niente andasse buttato, perché la fine degli oggetti è il loro riutilizzo. La cosa più moderna che ho visto è una forbice che fa anche da schiaccianoci.
Esce dalla porta di casa Virgilio, sembrava sopravvissuto a una lotta, scarpe infangate, capelli bianchi ingialliti dal sole, un bernoccolo in fronte, una maglietta strappata e i pantaloni che baciano la terra. Ci presentiamo e da lì in poi inizia il giro perlustrativo delle sue cose.
Mi porta verso un enorme calderone, alza una tavola che ricopriva il tutto, l’odore é asfissiante, dentro c’è una pastura di prugne lasciate lì a macerare. Entusiasta mi racconta della sua grappa, lascia le prugne quasi un mese lì dentro, la mia era una faccia incredula e così apre la porta di una grotta ed esce fuori con due fiaschi di grappa bianca e brillante. A lui gli erano già venute le guance rosse.
Dietro di sé c’è sempre il suo cane, di razza meticcia, e un oca che ad ogni suo segnale lei risponde. Ci incamminiamo verso un vecchio mulino dietro casa sua, ad un certo punto corre verso un dirupo di terra e ammazza una vipera con il piede.
Dopo inizia a parlare con mio fratello di vicende locali, allora decido di portare a spasso i miei occhi, il terreno è tenuto pulito da una mandria di pecore, baracche e baracchette ovunque, in ogni angolo c’è un rifugio per qualche oggetto. Dopodiché gli scatto delle fotografie e ci salutiamo, ricordandogli il piacere di aver conosciuto colui che ci fermava le partite di pallone.
Oggi ho trovato un esempio di civiltà contadina, di chi vive con poche pretese,che forse l’unica vera pretesa sono i frutti della terra, che vive con la terra in faccia e il sudore in fronte, di chi coltiva quella terra con amore, di chi la terra la leviga con la zappa, di chi sa che da quella terra arriva la vita e quella stessa terra prima o poi te la toglie.